All’inizio degli anni sessanta, Warren Bennis, una delle menti più brillanti che abbiano esplorato questo campo, sosteneva profeticamente che, nelle organizzazioni del lavoro, “la democrazia è inevitabile”.
A sessant’anni di distanza, possiamo oggi affermare che “il ben-essere è inevitabile” e che esso è la strada obbligata per un cambiamento significativo capace di far navigare l’organizzazione in un mare di turbolenza ed incertezza quale è la realtà odierna.
L’organizzazione scientifica del lavoro di stampo fordista-taylorista, ideata oltre 100 anni fa e che tanto bene e tanto male ha prodotto nel mondo del lavoro, ha profondamente inciso nel modo di pensare il lavoro.
La metafora meccanicistica ha segnato binari certi, percorsi immodificabili per quella che era ritenuta la one best-way per raggiungere gli obiettivi organizzativi.
Sappiamo che oggi tutto questo “traballa”. Forse le best-way non sono mai esistite e, certamente sarebbero insostenibili in un contesto incerto, imprevedibile e con la necessità di lettura di segnali deboli come è quello attuale.
L’unica certezza sono oggi le persone, donne e uomini, che vivono l’organizzazione, esseri carichi di capacità e speranze ma anche di delusioni, di soddisfazioni ma anche di amarezze.
Una nuova cultura delle risorse umane si impone. I pilastri portanti di tale cultura sono costituiti dalla riscoperta della soggettività, dal recupero dell’emozionalità, dalla riconsiderazione degli aspetti “invisibili” dell’organizzazione.
Soggettività come strada da seguire per offrire risposte al sempre meno “prendibile” problema della motivazione (ascritta, in tempi di best-way, a precisi stimoli manageriali!); emozionalità come recupero di una dimensione “cacciata” dall’organizzazione del lavoro
come inutile, preoccupante e ambigua; aspetti invisibili come “sommerso organizzativo” vero fondale di un oceano le cui acque affioranti mostrano logiche razionali certe, ma le cui correnti sommerse, fatte di intangibilità, alleanze, dinamiche interpersonali, passioni, gioie e frustrazioni determinano vortici capaci di ingoiare anche le certezze più scientificamente collaudate. La nuova cultura della gestione degli uomini in contesto lavorativo non può allora che preoccuparsi del loro ben-essere (attenzione: il trattino è indispensabile per evitare equivoci).
Ben-essere come positivo interfacciamento tra la persona e l’organizzazione, come modalità capace di garantire una buona navigazione su quell’oceano a volte infido e con i fondali così incerti. Ben-essere come investimento sulle sole risorse “certe” e come risposta a una vecchia cultura del lavoro, fatta più di controllo e di diffidenza che non di valorizzazione e stimolo. Ben-essere come “people satisfaction”.
Ecco allora le indagini psicotecniche, l’attenzione a fenomeni “negativi” (assenteismo, turnover, sicurezza), i tentativi questi (in epoca più tarda) di rilevare alcuni parametri di disagio (insoddisfazione, stress., fatica...).
Non si può, in questo passaggio, trascurare, nel nostro paese, l’azione di un “profeta”: Adriano Olivetti.
Ad Ivrea si realizzò una vera e propria utopia del ben-essere e fu tracciata un’avventura (purtroppo venuta meno pochi anni dopo la morte di Adriano, avvenuta nel 1960) che oggi riprendiamo in mano e studiamo come capace di segnare itinerari di nuova gestione delle persone.
Nell’ inaugurare lo stabilimento Olivetti di Pozzuoli (1955), Adriano si poneva una domanda: “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è, al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica? Oggi la semplice cura del malessere non basta più.
Pur senza avventurarci in analisi specifiche della realtà odierna, richiamiamo di seguito alcune situazioni problematiche e sfidanti di fronte alle quali si trova oggi chi voglia ipotizzare nuove vie per l’organizzazione del lavoro.
L’analisi potrebbe continuare: la necessità di vivere – lavorativamente parlando – l’incertezza e la contraddizione; una concezione del tempo lavorativo che vada al di là del modello di tempo come “unità di misura e controllo”, mutuato dal taylorismo e che permetta di distinguere nettamente tra “sana” velocità e “patologica” frenesia; la necessità di recupero di un corretto rapporto tra risorse possedute e richieste organizzative; il raggiungimento del punto di “flusso” come massimo utilizzo delle energie emozionali, in equilibrio tra ansia e noia, e altre ancora.
Tutti questi segnali ci portano ad affermare che generare ben-essere nel lavoro è diventato inevitabile per le persone e per le organizzazioni. Ciò richiede certamente un cambio di prospettiva, nuove visioni, intuizioni coraggiose, anche partendo da realtà diverse. Non è dal lavoro che nasce la civiltà: essa nasce dal tempo libero e dal gioco. Costruire ben-essere è anche tentare di lanciare un ponte tra gioco, tempo libero e lavoro.
Un progetto imprenditoriale costituisce uno sforzo di mobilitazione degli individui intorno a un documento che definisce, con i valori comuni, le norme di appartenenza al gruppo.
Cultura e comportamento organizzativo costituiscono la mappa di navigazione dell’organizzazione del ben-essere. Vi sono inseriti i valori forti, i principi irrinunciabili, la visione di realtà che l’organizzazione possiede, tra i quali:
Le relazioni interpersonali costituiscono certamente uno dei punti più significativi della soddisfazione/insoddisfazione al lavoro. Nelle ricerche di people satisfaction, gli aspetti relazionali precedono di norma tutti gli altri nelle valutazioni (positive o negative) degli intervistati. Dar luogo a un tessuto relazionale significativo è certamente un importante passo avanti nella costruzione di ben-essere. Le relazioni interpersonali sono caratterizzate da un elevato valore affettivo loro attribuito dai soggetti e proprio per tale aspetto si diversificano rispetto al pur importante problema della circolazione delle informazioni. In tale ambito si evidenziano alcuni aspetti principali: l’ascolto prima degli altri. Saper ascoltare, infatti, è la qualità più significativa sia per tessere rapporti sia per far crescere professionalmente i propri collaboratori. L’ascolto è la via di accesso alla dimensione soggettiva dell’organizzazione: permette di cogliere il significato percettivo che ciascuna persona attribuisce ai fatti organizzativi. L’ascolto permette inoltre di abbattere barriere e pregiudizi e di cogliere apporti e indicazioni da parte degli altri. Un ascolto sia interpersonale, sia comunitario: ogni organizzazione dovrebbe dotarsi di strumenti di ascolto per captare soprattutto i “segnali deboli”. Si pensi, alle indagini di clima, di customer o people satisfaction, nelle quali i dati raccolti non vengano occultati in qualche cassetto direzionale, ma posti a disposizione dei diversi attori organizzativi, così da generare e moltiplicare reazioni e feed-back. Altro fattore che ci piace ricordare quale generatore di ben-essere organizzativo è la gestione del disagio. Per “disagio” intendiamo qui situazioni o fatti negativi che possano accadere direttamente o indirettamente, alle persone dell’organizzazione e che vengano, per queste, a costituire una situazione di difficoltà. Esempi al riguardo: un lutto, un fallimento, una separazione, un caso di tossicodipendenza all’interno della famiglia, una grave malattia di un congiunto, ... In questi frangenti l’organizzazione è in grado di attivare meccanismi di solidarietà? Sono previsti o vengono affidati al “buon cuore” di qualcuno?. Investimenti in tal senso – sempre piuttosto limitati da un punto di vista puramente economico- hanno dei ritorni notevoli in chiave di senso di appartenenza.
Non è certamente indifferente far parte di un’organizzazione capace di proiettare di per sé un’immagine positiva piuttosto che non di un’altra che fornisca un’immagine sciatta, incolore. Si tratta ovviamente di un’immagine sia interna (come le persone percepiscono la propria organizzazione) sia esterna (territorio, associazioni varie, enti, movimenti, .....). A questo proposito, un’indicazione interessante deriva dall’identità aziendale. L’identità aziendale si basa su un parallelo di tre criteri validi per la misurazione della salute mentale e quelli che occorrono per la salute organizzativa:
Questo terzo criterio misura fino a che punto gli obiettivi organizzativi sono compresi e fatti propri dalle persone e a quale livello l’organizzazione è percepita veridicamente dagli attori organizzativi. È più che evidente che preoccuparsi dell’immagine non significa limitarsi ad azioni di sponsorizzazione, ma significa soprattutto monitorare come l’intero processo organizzativo venga percepito e vissuto dalle persone all’interno dell’organizzazione. Purtroppo, spesso questo aspetto non viene colto o perché vi si attribuisce scarsa importanza o perché, pur attribuendo importanza, è percepito come “pericoloso” dai vertici organizzativi: il “vespaio” che si vorrebbe cercare di non sollevare evitando di leggere le percezioni soggettive, continua a “ronzare” nell’informale organizzativo e, comunque, a incidere in modo incontrollato sulla vita e sulle scelte dell’organizzazione stessa. Costituisce anche un fattore di immagine il rapporto con i gruppi di appartenenza, cioè la capacità dell’organizzazione di “vendersi” a quei nuclei (in primis le famiglie) che costituiscono gruppo primario per il proprio personale. La dinamica di gruppo indica come i gruppi primari siano quelli dai quali l’individuo trae valori e modelli di comportamento. Diventa allora fondamentale stabilire rapporti di vario tipo tra ente/azienda e tali gruppi primari, determinando un’immagine positiva che poi vada ad incidere sulle percezioni stesse degli attori organizzativi. È interessante notare, a proposito, come l’EFQM (European Foundation for Quality Management), cioè il modello europeo per la qualità totale, ponga, tra i nove requisiti di qualità, come ovvio, anche la soddisfazione dei dipendenti e come tra questi, in una scala a 10 punti, annoveri, al punto 9, la condizione di integrazione organizzativa dei dipendenti e delle loro famiglie.
Sulla leadership e i relativi stili esiste da tempo una fiorente letteratura: riteniamo tuttavia che le condizioni odierne abbiano reso ormai obsolete molte di quelle indicazioni. Gli stili di comando non si sono evoluti, in termini di qualità, al pari di altri fattori organizzativi (es.: la tecnologia). Paradossalmente, qualche azienda potrebbe essere rappresentata come un “Freccia Rossa” ad alta velocità, guidato però da macchinisti di locomotive a vapore! Modalità di leadership certe, specifiche, standardizzate, non si addicono più a una condizione che richiede, invece, una attenta “navigazione a vista”. Inoltre, il modo di esercitare la leadership deriva da tutta una serie di variabili che rendono assolutamente inattendibile qualsivoglia modello rigido. Abbiamo così preferito, per questo fattore, tracciare alcune linee indicative, all’interno delle quali vi è ampio spazio di modalità di gestione. Ci piace, tra queste, ribadire il concetto di coaching: un’azione di supporto, di accompagnamento piuttosto che non di prescrizione e di traino. Il coach ha in mente una vision verso la quale mobilitare le energie dei collaboratori, lasciando ad essi modi di interpretare il compito e di gestirlo. Un coach capace di EMPOWERMENT, cioè di suscitare potenziali, di dotare di POTERE i propri collaboratori: non tanto, ovviamente di potere gerarchico, quanto di “potere su se stessi” (autostima) e sulla propria capacità di incidere sulla realtà. Uno strumento importante di tale azione è la DELEGA, che non è tanto un modo per “farsi fuori il lavoro” quanto piuttosto un’azione di fiducia, autonomia e crescita. In questo senso ha delle dosi di verità il detto per cui ”un capo ha i collaboratori che si merita!” L’errore come risorsa è un principio fondamentale di gestione. Una condizione come quella attuale, senza strade certe, richiede agli attori organizzativi la capacità di provare e riprovare, anche di percorrere cammini nuovi: azioni queste a rischio di errori. La reazione negativa di fronte agli errori pone dei freni, blocca l’innovazione, la ricerca, la produzione di nuove idee, la gestione dell’imprevisto. Non si tratta, ovviamente, di accettare indiscriminatamente gli errori, ma di non assumere, di fronte ad essi, un atteggiamento indagatore (“Chi è stato?”) quanto piuttosto un’espressione causale (“Perché si è verificato? Cosa possiamo fare perchè non si ripeta?”). Una leadership capace di generare benessere è una leadership consapevole della necessità di favorire esperienze positive nei propri collaboratori: “il compito fondamentale del leader è innescare sentimenti positivi nelle persone che gestisce. Ciò accade quando il leader sa creare una risonanza, una riserva di positività che libera quanto c’è di meglio in ogni individuo”.
La struttura del benessere è snella in quanto permette alle persone di osservare il flusso di creazione del valore per il “cliente” e agisce perché il flusso stesso non si interrompa e spezzetti in più uffici e posizioni di lavoro.
Questo richiede una drastica eliminazione delle attività senza valore e una riduzione delle ridondanze che in genere fanno lavorare male le persone.
Così pure la struttura del benessere è molto attenta ad attenuare i disservizi mettendo le persone di fronte (line) in grado di rispondere al meglio al cliente e coinvolgere l’utente, affinché utilizzi al meglio il sistema di erogazione del servizio stesso.
L’organizzazione snella ricerca in maniera continua la perfezione con una sistematica azione di lotta agli sprechi.
Una delle azioni importanti previste è il bilanciamento delle attività tra le diverse fasi di erogazione del servizio (e dei carichi di lavoro) in modo che la struttura possa lavorare al meglio e rispondere alle attese dei clienti.
Un punto fondamentale è la creazione di ruoli ricchi alla base, in grado di agire come veri e propri moltiplicatori.
Per realizzare questo importante obiettivo è fondamentale che gli organizzatori ed il management costruiscano o diano l’opportunità alle persone di costruirsi ruoli imprenditivi, con possibilità di espansione a coloro che esprimono competenze e motivazione alla crescita.
Pensiamo a ruoli che gestiscono micro-processi anche con sconfinamenti orizzontali rispetto alle mansioni e che rispondano di risultati compiuti in termini di tempi, costi e qualità.
La crescita laterale e la possibilità di negoziazione autonoma in orizzontale sono le condizioni che realizzano l’imprenditorialità.
Questa organizzazione centrata sulle persone farà largo uso di team autonomi che rispondano dei risultati di prodotti/servizi finiti, che un cliente interno o esterno utilizza.
Nei team autonomi sono racchiuse tutte le competenze tecnico-specialistiche, amministrative, contabili, giuridiche ed è prevista la formula dell’autocontrollo.
Essi agiscono anche come team di innovazione che intervengono per migliorare continuamente il sistema di erogazione del servizio ed i processi di lavoro.
In questa organizzazione le persone sentono di avere il potere di incidere sulla loro organizzazione e sentono che le regole organizzative valorizzano le competenze ed il desiderio di crescere.
Un buon sistema premiante deve rendere la retribuzione adeguata, equa e meritocratica, utilizzando una pluralità di strumenti oltre a quello economico: la partecipazione, ad esempio, a progetti e iniziative importanti e che permettano di fare esperienze che valorizzano la partecipazione nel processo decisionale, la crescita orizzontale a seguito del processo di valutazione.
Il tutto deve rendere le forme premianti coerenti con gli sforzi che il singolo attiva, con i risultati individuali e di gruppo e con la disponibilità del singolo ad investire energie per lo sviluppo e le politiche dell’organizzazione.
Un correttivo importante è costituito dalla trasparenza per cui i sistemi di valutazione devono essere orientati alla crescita e fortemente cristallini.
I meccanismi operativi costituiscono di fatto le regole entro le quali le persone agiscono: sono proprio le regole che determinano i comportamenti delle persone nelle organizzazioni.
Le regole non devono ingabbiare le energie e l'imprenditorialità delle persone, anzi devono favorirle e valorizzarle.
L’autonomia operativa e la responsabilizzazione sui risultati è sempre un buon catalizzatore, meglio se le persone possono poi utilizzare i benefici nelle forme più diverse.
Collegato a questo vi è la possibilità di autocontrollo, tale da permettere direttamente alle persone di eseguire e tenere sotto monitoraggio le loro prestazioni.
Il coinvolgimento personale nel miglioramento continuo è efficace e riconosciuto dalle persone che si percepiscono in tal modo apprezzate come le massime esperte del loro personale lavoro e avvertono fiducia e considerazione. Avvertono inoltre di far parte di una organizzazione efficiente, percependo il collegamento tra il loro lavoro e il servizio erogato.
In queste organizzazioni l’informazione è diffusa a tutti i livelli, è tempestiva in base agli eventi ed è fruibile facilmente da tutti.
Nelle forme più avanzate, le organizzazioni del benessere superano senza problemi i vincoli di tempo e di spazio, andando così incontro alle esigenze delle persone per quanto riguarda la gestione degli orari, naturalmente non penalizzando il servizio al cliente che rimane prioritario.
Nell'organizzazione del benessere le persone hanno ben chiara la rotta da seguire (la Vision) e questa è non solo conosciuta ma condivisa e partecipata nella definizione.
Il management rende noti quali sono gli obiettivi prioritari e se questi sono, non effettivamente sfidanti, ma realistici: le persone saranno stimolate a offrire il loro contributo al raggiungimento, in quanto li percepiranno come propri.
La strategia definisce sia i fattori distintivi sia come l’organizzazione intenda agire per governare il contesto nel quale opera.
In troppe occasioni le politiche sono vaghe e generiche e non definiscono la direzione da seguire, i traguardi da raggiungere, i vincoli entro i quali operare e le linee guida per realizzarli.
Un aspetto importante è la coerenza continua tra gli obiettivi delle politiche, il sistema organizzativo ed i processi della quotidianità. Nulla infatti è più mortificante per le persone che vedere che non esistono traguardi da realizzare o che questi sono “libri dei sogni”, elaborati per adempiere a formalità, quando poi la realtà di tutti i giorni viaggia su tutt'altre direzioni.
Alla logica del controllo e della non fiducia, tipica dell’Organizzazione Scientifica del Lavoro, l’organizzazione del Benessere risponde con la gestione per la formazione, basata sulla crescita continua delle persone. Grande attenzione è dedicata al recupero della conoscenza dei singoli collaboratori, mettendola a disposizione di tutti, provocando così crescita e stimolo a progredire. Apprendere in continuazione dalle esperienze è un imperativo: anche gli errori, come già evidenziato, sono tollerati in quanto permettono di fare sia esperienza sia di migliorare.
Le competenze delle persone sono un riferimento importante e tutti i collaboratori hanno la
possibilità di ampliare il loro ruolo in concomitanza con la crescita delle loro competenze: ciò costituisce uno splendido incentivo al miglioramento.
Tutto si centra sui talenti che sono individuati, riconosciuti, valorizzati.
“Così, di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell'idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno “.
Queste parole di Adriano Olivetti, pronunciate nel 1955 all'inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli, tornano in mente ogni volta in cui si visitano luoghi di lavoro freddi, asettici, anonimi, ristretti, più simili a penitenziari che non ad ambienti nei quali il lavoratore e trascorre parte della propria vita. L’attenzione agli ambienti fisici di lavoro è ancora da troppe parti considerata un optional, un “di più” non necessario. E non parliamo solo dell’estetica (che oggi è un vero e proprio fattore motivante: chi non ama il bello e non vuole preservarlo nei propri ambienti di vita?) ma del comfort e delle funzionalità. Il comfort e l’estetica sono spesso solo riservati (e non sempre) alla palazzina direzionale: il lavoro “manuale” sembra non averne bisogno.
L’attenzione agli ambienti di lavoro e gli sforzi costanti per migliorarli sono indicativi di alti livelli di sensibilità del management aziendale, e il ben-essere lavorativo passa anche attraverso il gusto estetico, l’amore del bello, la serenità offerta da un ambiente di lavoro “caldo” e confortevole.